giovedì 9 maggio 2019

CIA e il traffico di droga




DAL TRAFFICO DI DROGA A GROUND ZERO .

L’amministrazione americana dà la seguente definizione di «Stato canaglia»:
«Stato canaglia è quello Stato che brutalizza i suoi concittadini, sperpera le risorse nazionali, non ha riguardo per le leggi e i trattati internazionali, si procura armi di distruzione di massa, odia gli Stati Uniti e quello che rappresentano».
Che dire allora di uno Stato che pianifica l’importazione di droga per venderla sul proprio
mercato e con il ricavato finanzia strutture paramilitari fasciste, rifornendole di armi di distrazione di massa allo scopo di massacrare civili innocenti di altri paesi e di rovesciare i loro governi democraticamente eletti? E’ o non è uno «Stato canaglia»?

Ebbene questo è ciò che ha fatto e continuano a fare i governanti degli Stati Uniti d’America. Ma come - dovrebbe chiedersi indignata una qualunque persona in buonafede - esiste al mondo uno Stato che si fregia di essere libero e democratico e poi uccide con la droga i propri concittadini, violando le proprie leggi? Può esistere uno Stato che spaccia la droga e nello stesso tempo fa marcire nelle proprie carceri migliaia di piccoli criminali che vivono del traffico di stupefacenti? Ebbene sì. Il governo statunitense è anche questo. Compie queste ed altre magie: per esempio condanna a morte (morte di Stato) una parte dei suoi detenuti per omicidio, pur praticando l’omicidio a fini politici su scala di massa e internazionale: qualunque presidente degli Usa potrebbe essere considerato come Il più efferato serial killer esistente al mondo. E’ un governo che dice di amare più di tutti la democrazia, ma risulta poi responsabile del più gran numero di rovesciamenti di regimi democratici. E per quanto riguarda la droga, afferma di voler combattere il narcotraffico su scala planetaria, ma poi l’organizza in prima persona.

Lo fa per il business, ma lo fa anche per sconfiggere i suoi avversari politici: è quanto è
accaduto con la grande comunità nera nordamericana, i cui ghetti sono stati oggetto dello spaccio di Stato dalla fine degli anni ‘60 in poi. Il crack si è rivelato come uno degli strumenti più efficaci per narcotizzare la base sociale del movimento di liberazione dei neri.
Nelle carceri americane, diventate a loro volta un business privato, ci sono migliaia di detenuti, la maggioranza dei quali appartenenti alla comunità nera, che scontano condanne per piccolo spaccio di droga. Ma la droga da loro complessivamente spacciata non supera quella trafficata direttamente o indirettamente dalla Cia.
Il tedesco Von Biilow, ex ministro della ricerca, ha dichiarato in una recente intervista:
«Bisogna rendersi conto che gli Stati Uniti spendono 30 miliardi di dollari per i servizi segreti e 13 miliardi per l’attività antidroga. E il risultato qual è? Il capo di un’unità speciale antidroga, in preda allo sconforto dopo trent’anni di servizio, ha dichiarato che ogni volta che mettevano le mani su qualche cosa di importante, interveniva la Cia per sottrarre loro la competenza» .

Mena, in Arkansas, è uno dei principali centri di smistamento dell’eroina e della cocaina negli Stati Uniti d’America. 12 L’intervista completa ad Andreas Von Biilow, ex ministro della Ricerca e della tecnologia della Repubblica federale tedesca, è stata publicata dal Tagesspiegel del 13 gennaio 2002.
In un articolo scritto per il Washington Post (preventivamente t censurato) dai giornalisti Denton e Morris si parla di Barry Seal, un agente della Cia che sembrerebbe aver smerciato tra i 3 e i 5 miliardi di dollari di droga negli Stati Uniti. «Il 23 agosto del 1987, in una comunità rurale a sud di Little Rock, ufficiali di polizia uccisero due adolescenti (Kevin Ives e Don Henry) perché erano stati testimoni di un contrabbando di droga protetto dalla polizia. Questo smercio faceva parte di un più vasto traffico, che aveva come base un piccolo aeroporto a Mena, Arkansas. Li c’erano agenti Cia che si avvantaggiavano della protezione offerta dalla loro funzione e ne approfittavano per inondare gli Usa di droga. Kevin e Don sono stati vittime di questo crimine atroce e sono lì che accusano i colpevoli» . Un giornalista americano chiese a Dennis Dayle (ex capo della Dea Centac [la Dea è l’agenzia antidroga negli Usa]):

«Sottoscriveresti questa dichiarazione se fosse fatta ai cittadini degli Stati Uniti?
“Organizzazioni criminali di enorme potenza controllano molti Stati, e in una certa misura
controllano il mondo e controllano le nostre vite. Il tuo governo [Usa] in qualche modo le sostiene e ti sta nascondendo questa cosa”».
Dennis Dayle rispose:

« Io lo so che tutto questo è vero. Che non è una congettura. La mia lunga esperienza di vita mi dice che è così. E che ci sono grandi quantità di prove convincenti».
Tra tutti gli episodi di coinvolgimento della Cia nel traffico internazionale di droga, dal dopoguerra ad oggi, né prenderò in considerazione solo tre perché mi sembrano i più significativi:
Laos, Nicaragua (e Panama), Afghanistan.

Sally Denton e Roger Morris, «I crimini di Mena», «Mena, la droga e il caso “Train Deaths”.
Tra il 1958 e il 1973 gli Stati Uniti crearono in Laos un vero e proprio inferno nel tentativo di bloccare «l’epidemia della rivoluzione vietnamita». Organizzarono invano tre colpi di stato per rovesciare un governo di coalizione democraticamente eletto, nel quale la sinistra, raccolta nel Pathet Lao, era la vera spina dorsale. Falliti i tentativi di golpe, operati con l’arbitrio e la corruzione, scatenarono una campagna di bombardamenti che durò dal 1965 al 1973 provocando la morte di centinaia di migliaia di persone e la distruzione di interi villaggi, come già era accaduto (in Corea) o stava accadendo (in Vietnam e in Cambogia).

Non soddisfatti, perché nonostante tutto il governo ancora resisteva (e resistette fino alla sconfitta degli Usa) la Cia improvvisò un vero e proprio esercito composto da 30.000 mercenari provenienti da ogni parte dell’Asia, che foraggiava e riforniva di armi grazie proprio al traffico di droga con l’Occidente. Scrive William Blum:

«La Air America, compagnia aerea controllata dalla Cia, si fece carico del trasporto della droga in tutto il Sudest asiatico, trasferendola in luoghi dove l’oppio veniva trasformato in eroina e in punti di raccolta da cui la droga sarebbe stata spedita ai clienti occidentali...
Dopo vent’anni di presenza militare americana, il Sudest asiatico era diventato il produttore del 70% dell’oppio diffuso illegalmente nel mondo e il principale fornitore del mercato americano in piena espansione». Lo schema del Laos fu applicato in Nicaragua negli anni ‘80, addirittura usando un vecchio aereo C-123K che aveva operato in Laos.

All’epoca dello scandalo «Iran-Contras», la Cia finanziava la contro-guerriglia in Nicaragua con i proventi della vendita di armi all’Iran (che dopo la rivoluzione khomeinista, invece, nella propaganda Usa rappresentava il mostro da abbattere) e del traffico di droga. Ciò fu confermato in un ampio rapporto, nel 1989, di una sottocommissione del Senato (Commissione Kerry) sul terrorismo, sulla droga e sui traffici internazionali. Gli aerei partivano dal Costa Rica e dall’Honduras (basi della Cia-Contras), prendevano armi dalla Florida e facevano ritorno carichi di cocaina.

Il narcotrafficante Noriega, presidente di Panama fino al 1990, è stato sul libro paga della Cia per tutto il suo mandato, ben protetto e coperto dalla diplomazia americana. Dopo essere precipitato tra gli inaffidabili, fu sequestrato da aerei della Cia, portato negli Stati Uniti e condannato per narcotraffico a quarant’anni di reclusione, sulla base di ben documentate accuse: non poteva essere diversamente.

Vari paesi dell’America latina come il Costa Rica chiedono da anni l’estradizione di narcotrafficanti (al servizio di narcostrutture paramilitari stile Contras, a loro volta sul libro paga della Cia) che oggi vivono indisturbati negli Stati Uniti. Ma non c’è nulla da fare Washington: è sorda a questo genere di richieste e continua a proteggere i suoi ex agenti narcotrafficanti per non far scoppiare tanti piccoli scandali del tipo «Iran-Contras». Negli anni ‘80, l’eroina afghana, che la Cia usava per finanziare la guerriglia antisovietica, copriva il 60% del mercato statunitense. Ed oggi che i talebani sono stati spodestati (oltre alle statue di Budda avevano eliminato anche diverse coltivazioni di oppio) la coltivazione del papavero nella regione è tornata ai massimi storici, con molte aree agricole che sono state riconvertite alla produzione di morte con il beneplacito delle Forze Nato di stanza
nell’area. Non è escluso che i vertici della Nato abbiano deciso di chiudere entrambi gli occhi perché l’alta redditività del mercato della droga è tra le poche fonti di sostegno al regime fantoccio di Kharzai che è diventato più impopolare di quello dei talebani.

«Secondo i dati diffusi dall’Ufficio antinarcotici della Tailandia, nell’ultimo anno in Afghanistan sono state prodotte oltre 2.000 tonnellate di oppio a fronte delle 926 in Myanmar (l’ex Birmania), Laos e Tailandia, i tre Paesi che formano il cosiddetto “triangolo d’oro”. E il distacco potrebbe anche aumentare: secondo le Nazioni Unite, per la fine del 2002, l’Afghanistan - retto dal governo filo-americano di Hamid Kharzai - avrà prodotto poco meno di 3.000 tonnellate di oppio, meno di quanto fu prodotto nel 2000: 3.656 tonnellate.
Ma la differenza è abissale rispetto al 2001, quando sotto il regime dei talebani - dopo l’editto del mullah Ornar che ne vietava coltivazione e consumazione - uscirono dall’Afghanistan solo 74 tonnellate di oppio».

In Laos la cifra stimata di produzione di oppio per il 2002 è di 120 tonnellate contro le 200 del 2001. In Birmania il calo è stimato nel 25%, mentre in Tailandia le previsioni parlano di X00 tonnellate contro le 2.000 dello scorso anno. L’eroina che viene prodotta in Afghanistan è pura al 94%, cioè letale. Essa raggiunge l’Occidente attraverso la rotta dei
Balcani (Kosovo, Albania, Montenegro) cioè di quegli Stati e staterelli fantoccio creati dal Nord ricco del mondo per ridefinirci il proprio ordine imperialistico dopo il crollo del Muro di Berlino. Un dato è certo: tutti gli Stati strappati al socialismo reale e che hanno fatto ingresso nel «libero mercato» sono diventati degli eden per le mafie locali e internazionali che lucrano sul traffico di droga, di organi, di bambini, di prostitute, di migranti, di armi e quant’altro.

La narcomafia albanese ha un influenza quasi totale sul mercato della droga in Europa occidentale e in parte anche in Nordamerica. La Russia sopravvive svendendo le proprie materie prime (gas naturale, petrolio ecc.) all’Occidente e il commercio è gestito
prevalentemente da clan mafiosi impossessatisi delle ricchezze del paese dopo l’applicazione dei piani di privatizzazione imposti dal Fmi. Il partito di Putin è stato oggetto recentemente di una mozione di sfiducia sottoscritta da molti deputati della Duina per essere non solo colluso, ma parte integrante della Mafia russa. Il presidente della Repubblica serba, Dindio, è stato assassinato dopo una resa dei conti tra gang maliose, di cui era diventato referente e intermediario. Non si sa' forse anche esponente di spicco: nessuna meraviglia.

Dopo la fine della guerra in Kosovo «il quotidiano Koha Dìtore infrange la legge del silenzio: la droga sta affluendo nel Kosovo sotto ombrello Nato dove si assiste alla nascita di una potente rete mafiosa e la provincia diventa a poco a poco “una Colombia nel cuore dell’Europa”. Il 10 marzo 2000, l’Ispettore speciale delle Nazioni unite per i diritti dell’uomo ritorna da un viaggio di dieci giorni nei Balcani. E quello che dice Jiri Dienstbier è —se possibile- ancora più chiaro: nel Kosovo c’è il caos e la provincia è diventata un paradiso per le mafie» .
Eppure in Kosovo arrivano dall’Occidente più aiuti di tutti quelli dati al continente africano.

L’enorme massa di denaro sporco prodotta dall’economia criminale (che comprende anche pezzi di Stato - vedi la Cia in Usa o l’intreccio malavita/affari in Italia) viene riciclata nei circuiti della valorizzazione del capitale finanziario e va ad alimentare l’economia
cosiddetta «legale». Stati Uniti e Israele sono due santuari internazionali del riciclaggio di denaro sporco che utilizzano per finanziare il proprio debito, l’industria militare e le guerre preventive.
[Per la verità dovremmo considerare denaro sporco tutto il denaro che circola nell’economia capitalistica e quest’ultima come economia criminale tout court. Se l’economia capitalista ha bisogno della guerra per svilupparsi avremmo diritto di chiamarla economia criminale? E il suo denaro come denaro sporco? E i suoi utili come appropriazione indebita o, per dirla con Proudhon, come furto?

A fronte di questi dati, non si può consentire che sia l’amministrazione Usa ad attribuire alle Fare colombiane l’etichetta di «narcoguerriglia» o peggio ancora di «narcoterrorismo». C ‘ome minimo ci si dovrebbe chiedere da che pulpito venga la predica. Ma poi, a guardar bene, si vede che il Pian Colombia, che a parole dovrebbe servire a sconfiggere la «narcoguerriglia», non è altro che un ennesimo espediente per sostenere un regime corrotto e servile, che si alimenta del traffico di cocaina e che è alla guida di un paese che è il primo produttore al mondo di droga, superato in questo solo dall’altro protettorato americano, cioè l’Afghanistan.

Alcuni anni fa, per dare pubblicità al loro Pian Colombia, gli Usa avevano iniziato a far distruggere attraverso fumigazione molte coltivazioni di coca del paese, con il risultato di contaminare e affamare interi villaggi di contadini poveri. Qualcuno si è anche chiesto, forse non a torto, se non si trattasse anche di un espediente per farne alzare il prezzo nel mercato internazionale. Come mai si vanno a colpire le coltivazioni di base della pianta della coca (che come tutti sappiamo non serve solo a produrre la cocaina, ma ha anche altri usi terapeutici), mentre si lasciano intatte le grandi raffinerie (che trasformano per l’appunto la coca in cocaina) e le centrali strategiche del traffico di stanza negli Usa?

Inutile sperare in una risposta.
Per completare questa descrizione del modo di operare degli Usa, va detto che bisogna aspettarsi veramente di tutto. La disinformazione strategica, quella che il Pentagono ha chiamato la «quarta forza armata» senza la quale non si vincono le guerre, è già da tempo all’opera per la Colombia e per un possibile intervento militare degli yankees nel paese.

Anzi, una l’orma di intervento è già in atto con vistose elargizioni di denaro e armi, e con la presenza di consiglieri militari statunitensi. Al momento giusto, se ne può esser certi, l’intervento diretto verrà presentato dalla Cia come una misura estrema per salvare il mondo dal flagello del narcoterrorismo. La connessione tra guerriglia di sinistra e narcotraffico già da tempo è stata iniettata nell’opinione pubblica mondiale. Ecco come ne parla il comandante delle forze speciali statunitensi, John Wagenstein:

«Se faremo entrare questa connessione nella mente dell’opinione pubblica e dei membri del Congresso giungeremo a disporre del sostegno necessario a contrastare i terroristi/trafficanti nel nostro emisfero... Il Congresso avrebbe difficoltà a opporsi al sostegno e alla consulenza sulla sicurezza che forniamo ai nostri alleati per svolgere questo compito. I gruppi clericali e accademici, che hanno servilmente appoggiato le ribellioni in America latina, si verrebbero a trovare dal lato sbagliato della questione morale. Ma più di ogni altra cosa, noi ci troveremo in una posizione inattaccabile, che ci consentirebbe di avviare un’iniziativa coordinata con il Dipartimento della difesa e altri organismi».

E non si venga a dire, poi, che non eravamo stati avvisati.

Fonte



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