mercoledì 29 agosto 2018

La verita' sui decreti salva Banche



Da quando è scoppiato lo scandalo del decreto “salva banche” e sopratutto dopo il suicidio del pensionato che ha perso tutti i suoi risparmi, nelle filiali è un continuo via vai di clienti che vogliono essere rassicurati rispetto ai propri investimenti.

Sono giorni che gli impiegati delle banche ripetono sempre la stessa storiella, che poi è quella suggerita dall’azienda e ripetuta dai giornali, ovvero che il problema è circoscritto, che i nostri clienti non corrono nessun rischio e che alla fine coloro che hanno perso i propri risparmi li hanno persi o perché sono degli ingenui e hanno firmato senza leggere oppure perché sono stati avidi e hanno sottoscritto prodotti rischiosi per ottenere mirabolanti rendimenti. 

Questa però per l’appunto è una storiella che non rispecchia assolutamente la realtà dei fatti e pertanto, preso dalla rabbia, ho scritto le verità su come le banche gestiscono i piccoli risparmiatori che difficilmente televisioni e giornali vi racconteranno.


1. Le vittime dei piani di “salvataggio” sono per lo più piccoli risparmiatori. La maggior parte di questi sono pensionati con depositi fino a 100.000 euro, frutto solitamente della liquidazione e dei risparmi di una vita. Sono i soldi che speravano di dare ai figli per comprare casa e metter su famiglia oltre ad essere una garanzia per la propria vecchiaia.


2. I soldi dei risparmiatori non erano stati investiti in prodotti altamente speculativi come i derivati, ma in semplici obbligazioni subordinate, ovvero obbligazioni che danno un rendimento leggermente superiore alla miseria che danno i “normali” bond ma che, pochi sanno, in caso di default dell’emittente mettono chi li detiene in fondo alla lista dei creditori. 

Per chi non è del mestiere l’aggettivo “subordinato” vuol dire poco e niente e se in banca non te lo spiegano correttamente sei convinto di comprare un titolo obbligazionario tradizionale.


3. Non è vero che i prodotti venduti dalle altre banche, in particolare le grandi, sono privi di rischi. In questi anni gli istituti di credito hanno convinto, o meglio costretto, i clienti a dirottare i propri risparmi dall’amministrato al gestito. 

In pratica se prima la stragrande maggioranza dei piccoli risparmiatori aveva in portafoglio obbligazioni che garantivano a scadenza il capitale investito e rendimenti solitamente predeterminati (sistema "amministrato"), ora invece hanno quote di fondi che per definizione non danno nessuna garanzia (sistema "gestito"). Il risparmio è stato dirottato dall’amministrato al gestito perché quest’ultimo garantisce profitti più alti alle banche, anche se comporta rischi molto maggiori per i clienti. 


4. Negli istituti di credito la vendita alla clientela di prodotti non adeguati non è un fatto sporadico, ma la normalità. Se si facesse una corretta profilatura dei clienti sulla base delle loro conoscenze in ambito finanziario non si potrebbe vender loro null’altro che titoli di stato e obbligazioni emesse dalle banche. I questionari di profilatura vengono di fatto compilati dai gestori e fatti firmare ai clienti alla cieca spesso senza consegnare loro le “copie cliente”. 

Quasi nessuno si legge un contratto di servizi di investimento, un prospetto o una scheda prodotto prima di sottoscrivere un investimento. In questi anni i provvedimenti adottati in tema di trasparenza hanno solo aumentato a dismisura le “carte” da siglare rendendo ancor più difficile per il cliente leggerle prima di firmare. 
Parliamo per intenderci di contratti di 50 e più pagine redatte in un carattere piccolo, quasi illeggibile e per giunta scritte in un linguaggio per addetti ai lavori. Tenete poi presente che le operazioni di investimento si chiudono mediamente in poche decine di minuti, raramente si va oltre la mezzora.


5. Chi entra in banca per fare un investimento trova sopra le scrivanie la scritta “Consulenza”. Quelli che stanno dall’altra parte del tavolo però non sono consulenti indipendenti ma personale pagato per vendere quei prodotti che la banca gli ordina di vendere. Quando si va a comprare una qualsiasi cosa si è pienamente coscienti che il negoziante ha tutto l’interesse a vendere la sua mercanzia a prescindere dalla qualità e dalla convenienza della merce, ma per un inspiegabile timore reverenziale in banca non è così. 
I clienti, se invece dell’insegna “pescheria” trovassero scritto “consulenza ittica”, scoppierebbero a ridere, mentre quando entrano in filiale non battono ciglio e non si accorgono del colossale conflitto di interesse delle banche che affermano di fare consulenza e contemporaneamente vendono i propri prodotti. Ormai il lavoro in banca non e' da contabile e tantomeno da consulente. Tanto per iniziare per accedere al concorso non c’era bisogno di avere un titolo di studio attinente al campo bancario. 
Durante tutte le prove dei concorsi a cui si sottopongono i concorrenti non hanno mai fatto test di materie in ambito finanziario. Ma vengono testate esclusivamente le capacità dei concorrenti. Si puo' anche non sapere cos'e' un conto corrente o un bonifico, l’unica cosa importante per essere assunto, se si e' capaci “di vendere ghiaccio agli eschimesi”. D’altronde il contratto di apprendistato utilizzato nel settore del credito è formalmente finalizzato alla formazione di addetti commerciali.


6. Nonostante tutto questo non immaginatevi i bancari come persone senza scrupoli che godono a fregare la gente. La realtà del lavoro in banca è molto diversa da quello che normalmente si immagina. Gli impiegati più giovani hanno retribuzioni sostanzialmente identiche ai loro coetanei del settore privato, ma sopratutto secondo numerosi studi i lavoratori del credito sono tra i più stressati. Sono sottoposti ad asfissianti pressioni commerciali, a un costante
mobbing tanto che molti soffrono di attacchi di panico e anche i giorni di malattia spesso sono dovuti a una qualche forma di “esaurimento”. 


Ormai tutta l’organizzazione interna alle banche è finalizzata al commerciale. Gli stessi direttori di filiale non decidono quasi più nulla e il loro ruolo è quello di controllare e pressare i dipendenti. I report sul raggiungimento degli obiettivi arrivano due volte al giorno e se non sei in trend sulla settimana, sul mese, sull’anno sono cazzi. Invece di rafforzare gli organici operativi (da sempre caratterizzati da carenze) le banche preferiscono aumentare le figure dedicate esclusivamente al monitoraggio delle vendite e ad intervenire in caso di scostamento da quelli che sono gli obiettivi prefissati. 

Si è creato così un piccolo esercito di quadri direttivi impegnati dalla mattina alla sera a pungolare e spesso ad umiliare chi secondo loro non contribuisce adeguatamente ad aumentare la redditività dell’azienda. Mentre per i normali dipendenti ormai i premi sono una chimera, a questi moderni capetti le banche, in caso di raggiungimento degli obiettivi, garantiscono incentivi che possono arrivare anche a diverse decine di migliaia di euro. 

Con queste prospettive di guadagno e solo una cinquantina di persone da controllare immaginate che tipo di pressioni possono esercitare su chi è poi effettivamente a contatto con la clientela. E’ proprio per sfuggire alle pressioni, ai cazziatoni e alle umiliazioni che i bancari vendono ai clienti prodotti non adeguati.


Per tutelare realmente i piccoli risparmiatori sono poche le cose da fare:


Obbligare le banche a comunicare ai clienti che quella da la loro svolta non è un attività di consulenza ma un attività strettamente commerciale.

Ridurre la documentazione da sottoscrivere in caso di investimenti e mettere in rilievo le caratteristiche dei prodotti che realmente interessano i clienti ovvero il grado di rischio, la presenza o meno di garanzia del capitale e le prospettive di rendimento.

Vietare che lo stipendio dei lavoratori, dei quadri direttivi e dei dirigenti bancari sia legato anche solo in minima parte al conseguimento di obiettivi commerciali.


Infine la cosa più importante: le banche devono essere in mani pubbliche. Fin quando le banche dovranno distribuire utili agli azionisti e stare sul mercato i piccoli risparmiatori saranno sempre e solo vacche da mungere.


Mondo Sporco 

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Scopriamo chi sono i “vincitori” ed i “vinti” della recente vicenda che ha coinvolto quattro istituti di credito, precisamente Banca delle Marche, Carife, Carichieti e Banca Etruria.
Dopo aver ripercorso l’intera storia deldecreto salva-bancheriassumendo in 5 punti il salvataggio delle 4 banche tra le mosse del Governo e le conseguenze per i risparmiatori, eccochi ci guadagna e chi ci perde.

Salva-Banche e Bail in: i vincitori

  • Il Dott. Roberto Nicastro
Ex Direttore generale di Unicredit, ora Presidente di Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Carichieti e Nuova Banca Etruria. Il quotidiano Repubblica su un recente articolo pubblicizza un compenso annuo a favore del Dott. Nicastro di 400.000 euro. Il costo annuo per i Cda (comprendendo già i 400.000 euro del Dott. Nicastro) ed i collegi sindacali delle quattro banche ammonterebbe invece a ben 2,4 milioni.
  • Banca Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi Banca
Senza nessun bando pubblico è stato stabilito dal Governo/Banca d’Italia che saranno queste le tre banche che concederanno, a tassi di mercato, “la liquidità necessaria” al Fondo di Risoluzione (unico azionista di Nuova Banca delle Marche, Nuova Carife, Nuova Carichieti e Nuova Banca Etruria) per iniziare immediatamente ad operare in attesa che vi siano i conferimenti da parte di tutti gli Istituti di Credito Italiani.
Dai conti fatti da Banca d’Italia, il Fondo di Risoluzione ha avuto nell’immediato bisogno di 300 milioni “liquidi” per sottoscrivere il capitale dei 4 nuovi Istituti di Credito e di 140 milioni sempre “cash” per dotare la “Banca cattiva” del capitale minimo necessario per operare.
  • Gli “Specialisti del recupero crediti”
Nella “Banca cattiva”, priva di licenza bancaria nonostante il nome, sono stati concentrati i prestiti in sofferenza delle vecchie quattro banche che residuano una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate; da tener conto che tali prestiti in sofferenza, da un valore originario di 8,5 miliardi, sono stati svalutati - secondo non ben precisate logiche - a 1,5 miliardi (ovvero di circa l’82 %).
E’ altamente probabile che, per recuperarli, verranno venduti a specialisti del recupero crediti; se il Fondo di Risoluzione dovesse incassare una somma superiore a 1,5 miliardi, il denaro in più verrà trattenuto dal Fondo; il miliardo e mezzo finirà invece nell’attivo della Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Carichieti e Nuova Banca Etruria; senza contare che ovviamente, quanto gli specialisti del recupero crediti incasseranno in più dai crediti ceduti rispetto a quanto pagato alla “Banca cattiva” (al netto dei costi operativi sostenuti) resterà nelle loro casse.
  • I futuri acquirenti delle quattro “banche ponte”
Ovvero di Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Carichieti e Nuova Banca Etruria. Gli amministratori di queste quattro banche hanno assunto il preciso impegno di vendere le “banche buone” al miglior offerente e di retrocedere al Fondo di Risoluzione i ricavi di vendita. Nella tabella sottostante (fonte Banca d’Italia) è fornito l’«aggregato» da vendere:
Si nota come i futuri acquirenti perfezioneranno l’acquisto di società “ripulite” dalle sofferenze; è il sogno proibito di qualsiasi banca quello di acquistare solo bocconcini finanziari “buoni” e non quelli “avariati”.
  • Il Fondo di Risoluzione Unico europeo
Come visto poc’anzi, una volta terminate tutte le operazioni sopra esposte, i denari resteranno nel Fondo di Risoluzione italiano e non è previsto la distribuzione di un eventuale residuo né agli azionisti e neppure ai sottoscrittori dei prestiti subordinati delle vecchie quattro banche.
Da segnalare che il Fondo di Risoluzione italiano è destinato, tra circa 8 anni, a scomparire per confluire nel Fondo di Risoluzione Unico europeo che verrà adoperato per la risoluzione delle crisi “europee” di 26 paesi dell’UE di cui 19 dell’area euro; va evidenziato che non hanno aderito a questo sistema né Svezia né Regno Unito.
  • I gestori dei fondi comuni d’investimento
Con l’effetto “panico” che la normativa sta trasferendo sui risparmiatori, quest’ultimi saranno “indotti” a diversificare i propri risparmi; chi ad esempio ha 500.000 euro in conto, riterrà più efficiente, invece di aprire cinque conti in cinque banche diverse, sottoscrivere un fondo monetario; e chi solitamente ha sempre investito in obbligazioni della banca verrà “indotto” ad investire su fondi obbligazionari.

Salva-Banche e Bail in: i vinti

  • I titolari di azioni delle 4 banche
Hanno perso tutto quello che avevano investito; ovviamente un azionista dovrebbe sapere che è il soggetto meno tutelato in caso di default di una società; per quanto consapevole di ciò, nessun azionista di qualsiasi banca, per quanto tecnicamente preparato, poteva immaginare che il recepimento di direttive europee potesse portare, in maniera del tutto arbitraria, soggetti terzi (Governo e Banca d’Italia nello specifico) a decidere che l’attivo “buono” della società venisse ceduto a terzi, facendo una sorta di “bancarotta preferenziale” e che l’azionista si trovasse così fin da subito, senza aspettare la realizzazione degli attivi societari, con un pugno di mosche in mano.
  • I titolari delle obbligazioni subordinate delle 4 banche
Anche loro hanno perso tutto quanto investito; anche l’investitore “consapevole” che aveva sottoscritto tale tipo d’investimento leggendo attentamente il prospetto informativo, sapeva che, in caso di liquidazione della società, sarebbe stato rimborsato solo dopo il pagamento integrale di tutti i creditori non subordinati dell’Emittente ma prima delle azioni; ma non poteva mai immaginare che il recepimento di direttive europee potesse portare in maniera del tutto arbitraria, soggetti terzi (Governo e Banca d’Italia nello specifico) a decidere che l’attivo “buono” della società venisse ceduto a terzi, facendo una sorta di “bancarotta preferenziale” e che i detentori di obbligazioni subordinate si trovassero fin da subito, senza prima aspettare la realizzazione degli attivi societari, con il cerino in mano.
  • I dipendenti delle 4 “banche ponte”
Come già detto, le quattro “banche ponte”, ovvero Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Carichieti e Nuova Banca Etruria sono destinate ad essere “vendute”; difficile immaginare, soprattutto in questo momento in cui tutti gli istituti bancari di medio – grosse dimensioni, stanno attuando piani di significativo ridimensionamento del personale, che non vi siano “tagli”.
  • Le Banche di Credito Cooperativo
Nonostante il sistema del credito cooperativo sia stato finora totalmente autonomo da quello delle altre banche (Popolari varie, Intesa San Paolo, Unicredit, MPS, ecc.) si è trovato obbligatoriamente a dover contribuire al salvataggio di 4 banche che non avevano nulla a che fare con il modo delle Bcc; il Presidente di Federasse, Alessandro Azzi, ha affermato che tale salvataggio costerà alle banche di credito cooperativo ben 225 milioni di euro. Trattasi oggettivamente di una decisione a dir poco scandalosa visto che finora, i crediti cooperativi, si sono sempre arrangiati autonomamente nella risoluzione dei loro problemi, senza aiuti di stato e senza far perdere nulla agli obbligazionisti, neppure a quelli subordinati.
  • I detentori di obbligazioni subordinate di altri istituti bancari
L’effetto “panico” è partito e già lo si vede in questi ultimi giorni in cui i prezzi di tali strumenti finanziari stanno crollando in quanto c’è un eccesso di vendite. Domenica 13 dicembre 2015, nel primo pomeriggio, durante il programma “In mezz’ora” su Rai 3, era ospite il Direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi il quale ha affermato che “è necessario vietare per legge la vendita allo sportello di prodotti come le obbligazioni subordinate…”.
Parole decisamente forti soprattutto considerando che durante la trasmissione, apparivano delle slide (con scritto Fonte Banca d’Italia) dalle quali si apprendeva che il valore delle obbligazioni subordinate emesse in Italia è di 63 miliardi di cui 35 miliardi in mano alle famiglie.

Chissà come andrà a finire…io qualche idea ce l’ho già.



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